di Marco Danesi
Prima mattina in Africa.
Sono appena atterrato ad Addis Abeba, in Etiopia, con un programma molto fitto di otto giorni, per visitare alcune missioni e verificare lo sviluppo e la realizzazione di progetti di contrasto alla siccità nel Corno d’Africa, tre dei quali finanziati da Caritas Diocesana di Brescia.
Paolo, dell’Associazione “Amare Onlus” che ha coordinato i progetti per conto di Caritas, conosce molto bene realtà, luoghi e persone dell’Etiopia e mi apre un po’ alla volta a questo continente.
Oltre ai report dei progetti correlati da fotografie dei luoghi d’intervento, conosco veramente poco di questo paese. L’Etiopia è quattro volte l’Italia, è tra i paesi più poveri al mondo con una percentuale dell’88,20 di povertà sull’intera popolazione. 80 milioni di persone che vivono con meno di 5 dollari al giorno. La crescita demografica è incredibile, basti pensare che nel 1983 la popolazione era di 33 milioni, nel 2014 di 90 milioni e ora ha superato i 120 milioni. L’aspettativa di vita è di 66,9 anni…
Mi sono informato, ma non sono preparato a ciò che mi attende uscito dall’aeroporto. Addis Abeba, una megalopoli con grattacieli, strade a sei corsie, marciapiedi, piste ciclabili… senza biciclette, lampioni giganteschi, fontane zampillanti… e “muri” di lamiera dipinta con colori vivaci dietro ai quali si estendono altre città nella città. Baracche accatastate, disordine, sporcizia e gruppi infiniti di bambini. La città è un gigantesco cantiere, un progetto sostenuto dal governo con il contributo economico e tecnico della Cina che si estende per 56 chilometri. Si vuole offrire una nuova immagine della capitale, mentre alle persone mancano i servizi base, l’acqua, la luce… spesso manca pure la casa.
E fuori dalla capitale è anche peggio, sembra di essere catapultati in un altro tempo, con file di asini e bambini che con le taniche gialle camminano per arrivare ai punti d’acqua e poi ritornare… Mi pare tutto una contraddizione, mi sento fuori posto tra scelte di politica internazionale che non comprendo e la povertà estrema, i corpi smunti e gli occhi enormi dei bambini e la quotidianità che ho appena lasciato.
Come nella capitale, la storia si ripete ad Harar, nel cui Vicariato abbiamo sviluppato i progetti presso tre diverse missioni. L’ obiettivo è la raccolta dell’acqua sia per l’utilizzo da parte delle persone, sia a fini di irrigazione agricola in una regione sempre più secca. I progetti hanno permesso la raccolta di acqua piovana, la canalizzazione di sorgenti o l’istallazione di cisterne di raccolta e risistemazione di vasche a fini irrigui. Acqua come fonte primaria di Vita.
Tante immagini ho davanti, ma in questi otto giorni in cui l’assurdo era la normalità, ciò che più mi resta sono gli incontri con le persone: suor Elleni, Giorgio, il Vescovo Angelo, ma in particolare la vivacità di suor Irene, ottantatreenne, della Val Brembana. Mai ho incontrato in un contesto di estremi che convivono, occhi più liberi. Ma questa è un’altra storia.