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Articolo pubblicato sul settimanale diocesano La Voce del Popolo

Quale accoglienza in un cambiamento d’epoca?

di Stefano Savoldi

Poco più di dieci anni fa, in piena crisi delle cosiddette “primavere arabe”, sollecitati dagli inviti di Papa Francesco e del vescovo Monari, prendeva avvio il progetto di accoglienza di cittadini stranieri Richiedenti Protezione Internazionale coordinato da Caritas Diocesana di Brescia all’interno delle Comunità cristiane della Diocesi di Brescia.

Parafrasando la testata del settimanale diocesano: qual era e qual è il sentimento ovvero la “voce del popolo” nelle Comunità di allora e di oggi?

Mentre passano nella mente i volti di tanti incontri, sia delle Comunità che delle persone accolte, i tanti progetti “con e per le persone” riusciti, ma anche quelli nei quali avremmo sicuramente potuto fare di più e meglio, non posso non pensare a quanto ci sia ancora da fare sul piano culturale nelle nostre Comunità.

Dieci anni fa, quanto meno, il tema dell’accoglienza era vivo: ricordo accese discussioni nelle comunità tra pro e contro l’accoglienza, partiti schierati sull’accoglienza indiscriminata e chi fomentava la paura del diverso, ma anche iniziative per promuovere una cultura dell’incontro in linea con l’invito di Papa Francesco ad accogliere, proteggere, integrare e promuovere.

Oggi, spesso a seconda del colore politico che governa, ci alterniamo tra la notizia derubricata e la cronaca che stigmatizza comportamenti devianti, unitamente all’incattivirsi silente di meccanismi di respingimento e controllo alle frontiere. Il tutto in una incapacità generale di anche solo comprendere le ragioni di sostenibilità economica che sottendono la necessità di immigrazione (“controllata”, specificano – ma ha il sapore di un nuovo sfruttamento).

L’impressione è che mentre perseveriamo nello scegliere di “stare e starci” accanto a chi arriva qui e ci interpella, fatichiamo a far comprendere le ragioni di cambiamenti epocali in un’epoca di cambiamento.
Si riesce ad incidere davvero poco nel cuore della società, prevalendo sentimenti di paura del diverso piuttosto che la sfida all’incontro dell’altro, nello sforzo di riconoscerlo e dare un nome a lui/lei e alla sua storia.

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