di Chiara Buizza
Per la linea del tempo sono passati dieci anni, per la linea del cuore sembra ieri.
Data 3 settembre 2015 l’incontro con la piccola Kemay, consegnato a un messaggio wa: “Oggi in un rifugio per profughi ho incontrato una bambina. È vestita di viola. Ha forse cinque anni, due grandi occhi marroni e una nuvola di capelli al vento. Le ho sorriso. Anche lei ha sorriso. “Che faccio ora!?” mi sono detta. Ho preso della carta… e le ho fatto una barchetta, un’altra e un’altra ancora. Barchette viaggianti tra le dita, tante! Devo andare. Il tempo mi sembra volato. La saluto, ma non la lascio: sento il bisogno di dire e di chiedere una preghiera per lei e i “bambini delle barche”, perché il loro viaggio trovi casa”.
Di lì a poche ore, Kemay, insieme alla “mamma”, viene accolta nella Piccola casa della carità: la portano qui le preghiere di molti e il darsi da fare di tanti.
È il 16 settembre quando Kemay e la “mamma” scelgono di lasciare la Piccola casa della carità per continuare il viaggio, lontano da Brescia, in cerca di altri approdi.
Di fatto l’accoglienza della “bambina delle barchette di carta” dura solo 13 giorni ma lascia un segno: diventa cifra distintiva per l’esperienza di micro-accoglienza diffusa e per la cooperativa a cui verrà affidata la gestione della stessa: Kemay in eritreo significa “come me stesso”.