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Articolo pubblicato sul settimanale diocesano La Voce del Popolo

Unità di strada

Il bilancio dei primi dieci mesi di esperienza con i senza fissa dimora

Nell’ambito di un progetto più ampio di mobilitazione a favore delle persone senza fissa dimora, sostenuto da Caritas Diocesana di Brescia anche attraverso i fondi 8×1000, trova collocazione l’attivazione di una “Unità di Strada” che si configura come il primo anello, il più imprevedibile in quanto meno standardizzato, di una possibile catena di aiuto che si snoda a favore delle persone che vivono in strada. Obiettivi principali: incontrare, offrire ascolto e relazione (farsi prossimi), orientare (costruire ponti), monitorare (essere sentinelle). Concretamente: si prevedono tre uscite settimanali, in orari serali, con la presenza stabile di operatori, supportati da volontari, che con un’auto dedicata si recano dalle persone che dormono in strada. Nelle parole di Francesca, Giacomo, Valentina il bilancio dei primi dieci mesi di esperienza.

Incognite. Abbiamo iniziato questo progetto dieci mesi fa e con il tempo i primi passi incerti sono diventati più sicuri e concreti. Le persone senza dimora erano per noi un’incognita. Tutto era un grande punto di domanda. Saremo capaci? Sarà pericoloso? Ci accoglieranno? La nostra presenza, che rientra nell’ambito dell’educativa di strada, inverte infatti il classico rapporto tra utenza e servizio poiché siamo noi che andiamo da loro senza che venga espresso alcun bisogno o richiesta. Per questo motivo è stato importante avere una particolare attenzione e cautela soprattutto nell’aggancio iniziale e continuare ad avere un atteggiamento rispettoso e senza giudizio nella costruzione della relazione. Non sappiamo chi abbiamo di fronte e la stessa cosa vale per la persona che ci incontra: chi siamo noi ai loro occhi?

Fiducia. Ogni uscita è servita per fare un passo verso le persone e per creare un momento di presenza e di ascolto, breve ma costante. Ciò è servito ad instaurare un approccio fiduciario. Ai nostri occhi non sono più degli “invisibili”: ci siamo avvicinati facendoci a nostra volta avvicinare da loro ed è una bellissima sensazione essere accolti con un sorriso, ascoltare le loro storie. Laddove necessario abbiamo suggerito dei consigli utili su dove andare per chiedere un posto dove dormire, un pasto caldo o altre informazioni sui servizi disponibili sul territorio.

Tempo. Vero è che queste persone sono instabili, itineranti e, sotto effetto di sostanze alteranti, incapaci di gestire un dialogo. Nondimeno la continuità delle uscite di questi dieci mesi ci ha permesso di acquisire sempre maggiore familiarità con questo tipo di utenza e di far crollare pregiudizi e stereotipi: il “tossico”, “l’ubriacone”, il “clandestino”, la “sbandata” riconquistano un’identità, un nome, una storia da conoscere, da comprendere, da accogliere. Con il tempo gli obiettivi principali del progetto (incontrare, offrire ascolto e relazione, orientare, monitorare) si sono fatti azione e anche noi, mantenendo un approccio openmind, ci stiamo scoprendo “ponti e sentinelle”.

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