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Articolo pubblicato sul settimanale diocesano La Voce del Popolo

Migranti: è vera emergenza?

di Romano Guatta Caldini

Dopo sei mesi dal naufragio di Cutro, i numeri dei migranti arrivati via mare parlano chiaro: per esempio, in una sola giornata – lo scorso 24 agosto – si sono registrati sette sbarchi nell’isola di Lampedusa. Quella del 2023 è l’estate dei record, per numero di soccorsi e per totale di persone approdate, mai raggiunto prima sulla più grande delle isole Pelagie. È quindi vera emergenza? Il territorio nazionale, Brescia compresa, fatica a sostenere l’impatto. Il sistema dell’accoglienza rischia di non reggere. È il monito che viene da più parti. Intanto Caritas diocesana prosegue la sua attività, pur con risorse minori rispetto al passato, per garantire un’accoglienza che sia il più possibile improntata all’integrazione, così come sottolinea il presidente della Cooperativa Kemay, Stefano Savoldi.

Savoldi, se guardiamo alle strutture dedicate all’accoglienza qual è la situazione?
C’è una carenza, anche se attualmente, nonostante le difficoltà, nel nostro territorio sono accolte 2.300 persone, inclusi i posti del SAI (Sistema Accoglienza Integrazione). Siamo in ogni caso lontani dai numeri registrati nel 2018, periodo antecedente i Decreti sicurezza quando la provincia di Brescia accoglieva, solo nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), oltre 3.000 richiedenti asilo. Il SAI, al tempo, accoglieva 420 persone. A distanza di 5 anni i posti a disposizione del SAI sono aumentati, parliamo di 667 persone; al contrario, il sistema CAS, sempre a seguito dei Decreti sicurezza, è stato smantellato. Nel tempo è stata adottata la logica dei grandi Centri di accoglienza, ma nei semplici termini di identificazione e passaggio, laddove invece le persone devono risiedere per un tempo maggiore ed esser assistite. Vorrei precisare che non va sminuito quanto comunque si sta continuando a fare nei CAS per il bene delle persone accolte, noi così come la maggior parte degli Enti gestori, anche se con risorse ben inferiori a quelle dei SAI.

Secondo lei è venuto meno il sistema d’integrazione?
Direi che è venuto meno il sistema di accoglienza. Le risorse economiche sono state quasi dimezzate e, di conseguenza, sono venuti meno i servizi da erogare, con persone che vengono di fatto “parcheggiate”.

Si guarda alla contingenza in assenza di uno sguardo prospettico?
Esatto. Rispetto alle misure adottate, oltre la metà degli enti gestori dopo i Decreti Sicurezza ha rinunciato a investire in un sistema di accoglienza dove certi servizi fondamentali sono stati tolti. Pensiamo all’insegnamento dell’italiano, alla fornitura di medicinali, al supporto psicologico. Con tali carenze è ovvio che le persone stiano male. Senza le risorse necessarie quasi tutto il Terzo Settore si è trovato nelle condizioni di non poter reggere. Durante i recenti governi qualcosa è migliorato, ma l’imprinting politico è rimasto quasi il medesimo, (vedi gli accordi con la Libia). Nonostante le intenzioni della legge 50 successiva al decreto Cutro, nei nostri CAS si prosegue con alfabetizzazione, educazione civica/sanitaria, percorsi professionali e ricerca lavoro, supporto psicologico, fornitura farmaci e accompagnamenti sanitari, mediazione legale e culturale…

Una particolare attenzione viene riservata ai minori non accompagnati. Caritas come si sta muovendo?
Noi non abbiamo un centro specifico per i minori, ma occasionalmente arrivano. Nella maggior parte dei casi sono stati segnalati come maggiorenni, a causa di errate identificazioni nei primi tempi di approdo, mentre al contrario sono minorenni. Questo è ascrivibile alla confusione del momento. Lo scarto temporale è minimo ma fa la differenza. Quindi, di fatto, questi ragazzi vengono assegnati ai CAS, per dopo essere collocati in un Centro specifico. Anche i Centri per i minori sono ormai saturi. Quindi rimangono con i maggiorenni. Noi non possiamo che adottare le misure necessarie per la loro maggior tutela. Errori di questo tipo sono comunque sporadici.

Per quanto attiene la provenienza?
Se guardiamo agli arrivi più recenti si tratta perlopiù di giovani provenienti dal Pakistan, dall’Egitto e dall’Africa sub-sahariana, quindi Guinea, Costa d’Avorio, Camerun, Sierra Leone e Somalia. In questa prima fase li stiamo preparando alla prima audizione. I tempi sono veramente lunghi. Anche solo per avere un appuntamento in Questura passano dai 4 ai 5 mesi. I primi colloqui per comprendere le ragioni della loro presenza vengono effettuati in una seconda fase. Ci sono persone che scappano da contesti di ostilità, soprattutto quelle provenienti dall’area sub-sahariana. Se guardiamo al Nord Africa si tratta di ragazzi che cercano un inserimento lavorativo. In generale non so se possiamo parlare di tratta, ma sono comunque giovani abili al lavoro. I lunghi tempi burocratici (7/8 mesi) per ottenere il primo soggiorno e l’impossibilità di lavorare non fanno altro che facilitare l’ingresso nel mercato nero.

Queste tempistiche ci sono sempre state?
Si sono acuite dal gennaio di quest’anno. Negli ambiti istituzionali, in particolare in Questura, sezione asilo politico/cittadinanza, non è stato rinnovato il personale assegnato. Durante l’emergenza Ucraina, la Questura era riuscita a gestire in maniera eccellente la situazione, solo nel Bresciano sono state 8.000 le persone accolte nel corso di un anno. Perché per gli Ucraini la scelta politica è stata di dare subito un permesso di soggiorno temporaneo di 1 anno rinnovabile (con facoltà di lavorare) e non lo si fa per i richiedenti asilo? Ben vengano gli accordi che la Prefettura sta approntando con associazioni di categoria, ad esempio Confindustria, per corsi di formazione e inserimento lavorativo, perché si cerca di evitare il rischio che i tempi lunghi foraggino l’accesso dei migranti al mercato del lavoro irregolare. Oggi ci troviamo nella situazione di non essere in grado di gestire nel Bresciano 1.500 arrivi in un anno. La mancanza di organico strutturale nella sezione asilo politico è evidente. Ovviamente tali problematiche non possono essere ascritte alla Questura di Brescia. È un fenomeno nazionale dovuto alla mancanza del rinnovo dei contratti. Chi c’è fa quello che può, ma è ovvio che l’allungamento dei tempi è inevitabile. Da qui nasce il fenomeno di una maggiore mobilità dei migranti verso i Paesi limitrofi, spesso lungo la linea di Ventimiglia. Chi resta, invece, con la necessità d’inviare denaro a casa o pagare il debito del viaggio che li ha portati in Italia, è facile preda del mercato irregolare. Noi non possiamo che insistere sull’alfabetizzazione, sebbene i prossimi bandi non la prevederanno, valorizzando le varie competenze lavorative, verso una forma mentis improntata sulla legalità. È solo attraverso quest’ultima che passa l’integrazione. Anche in assenza di risorse non possiamo esimerci dal mettere in campo tali interventi.

Le parrocchie come sono coinvolte?
Accompagnano le persone nei locali che hanno messo a disposizione. Attualmente sono una dozzina. C’è poi il nostro Centro di primo arrivo, il nostro hub a Mompiano, è il primo approdo prima di passare negli appartamenti a seconda dei posti disponibili. Le parrocchie svolgono un lavoro certosino di accompagnamento all’autonomia. È ovvio che siamo sempre alla ricerca di spazi. Al di là dei proclami politici circa l’accoglienza registriamo, all’interno del mercato delle locazioni, grosse difficoltà, c’è una certa preclusione. E quando ci sono delle possibilità ci troviamo di fronte ad ambienti da ristrutturare o troppo lontani dall’hinterland cittadino e, quindi, dai nostri operatori.

I Comuni, Loggia compresa, lamentano una malagestione, da parte del Governo, del fenomeno migratorio. È un’affermazione che ha fondamento?
L’ottica dell’attuale governo, pur riconoscendo i maggiori sforzi attuati nel coinvolgimento di Europa e Paesi di partenza, è di maggiore attenzione nella selezione di chi ha davvero diritto a restare (e rimpatrio degli altri). Ma proprio perché è di “centro destra”, mi aspetterei investisse di più su risorse per percorsi quantomeno di “inculturazione”, se non proprio di inclusione, quali l’insegnamento di italiano e l’educazione civica.

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