di don Maurizio Rinaldi
In queste settimane è inevitabile il riferimento a Geremia 14: “Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere”.
Silenzio, desolazione e invocazione sono la colonna sonora delle messe a porte chiuse. L’assenza dell’assemblea richiama ad un corpo ecclesiale che soffre la sofferenza del mondo. Viviamo una quaresima inedita. Diceva il cardinal Caffarra: “gli eventi non chiedono il permesso prima di accadere”. Privati del segno, siamo coperti dalle ceneri di chi fu. A Quaresima ultimata il Venerdì Santo parrà non finire mai. Sofferenza e speranza hanno scandalizzato il nostro sentire emotivo.
Una azione potente di “sanificazione” ha voluto ristabilirci in una sorta di integrale salute interiore; per un attimo le nostre vanità sociali, ecclesiali e persino caritative sono state messe in luce ed in un frammento di verità ci siamo vergognati di noi stessi. Perseguiamo la santità, ma dobbiamo imparare a credere. Si susseguono in tutte le forme le dichiarazioni e le azioni di speranza.
Il morire in questi giorni ha una sua consistenza. I numeri sono persone scomparse e con loro il lutto reclama il suo tempo. Le sirene delle ambulanze perpetuano il richiamo alle “Stazioni sulla via della libertà”: disciplina, azione, sofferenza, morte, passaggi poetici che Bonhoeffer scrisse in Resistenza e resa. Nella Lettera a E. Bethge dell’8 luglio ‘44 dirà: “non solo l’azione, ma anche la sofferenza è una via verso la libertà. La liberazione nella sofferenza consiste in questo, che all’uomo è possibile rinunciare totalmente a tenere la propria causa nelle proprie mani, e riporla in quelle di Dio”. Sarà un soffrire non isolatamente inteso, ma riassuntivo, di pianto e di riso, di una vita polifonicamente vissuta, nell’intrecciarsi di ultimo e penultimo, di terreno e di eterno, di benedizione e di croce.
Nella lettera del 21 febbraio ‘44 Bonhoeffer si chiederà dove sia il confine tra la “necessaria resistenza” e l’altrettanto “necessaria resa” al destino. In una indagata ed assunta responsabilità, il resistere sarà necessario; la fede esigerà un agire mobile e vivo e la resa sarà il credere compiuto. Scriverà ancora: “Questa è μετανοια; e così si diventa uomini, si diventa cristiani”.
Provocati da un oggi colmo, la necessaria resistenza esigerà l’elaborazione di una resa, persino ecclesiale; non è ancora chiaro a che cosa o a chi dobbiamo resistere ed arrenderci; l’ autenticità della carità ce lo svelerà e scopriremo che pasquale è stato il nostro ed altrui soffrire.