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Articolo pubblicato sul settimanale diocesano La Voce del Popolo

Il ministero della vicinanza

di Maurizio Rinaldi

Se l’umano vivere è il punto di intersezione tra l’essere creato ed il divino, di cui l’evento Gesù Cristo è la concrezione, nella logica di Laudato sì del tutto è connesso, l’ascolto dell’uno è ascolto dell’Altro e viceversa, nella percezione di un qui ed ora nel quale il Regno di Dio si manifesta negli appelli e nelle risposte. Se nella medesima logica la realtà è superiore dell’idea, le pro-vocazioni che ne vengono sono il luogo del discernimento per la definizione dell’identità personale e comunitaria e della missione, per l’integrità che ne rivendicano. Dopo l’Incarnazione non sarà più possibile separare l’incontro umano dall’incontro divino; in esso la comunicazione sarà necessariamente tentativo di comunione in un approccio che vorrà essere simpatetico. Ascoltarsi reciprocamente sarà un evento di svelamento: la sorpresa sarà inevitabile nel sentirsi germani, in senso umano e divino, figliale e fraterno. La narrazione dei vissuti sarà un luogo teologico nel quale riconoscersi in Cristo, sarà certezza di sapersi uniti, quindi non soli; certezza di essere solidali, quindi più forti.

In questo modo abbiamo vissuto le cinque serate trascorse nel Collegamento dei Centri di Ascolto Caritas, distribuiti su tutta la diocesi: i racconti hanno shakerato vissuti di tristezza, di gioia, di fatica e di laboriosità; i volontari hanno restituito e condiviso la loro intraprendente passione nel ministero della vicinanza personale e comunitaria, della prossimità alle inevitabili povertà che il contesto pandemico ha moltiplicato e radicato; hanno riferito di contesti comunitari sensibili e solleciti ai bisogni, di reti di collaborazioni, di esperienze di giovani disponibili all’aiuto.

All’uditore attento non è sfuggita la vitalità spirituale, contagiosa e feconda che le Caritas parrocchiali e le comunità hanno trascorso e sofferto. Se il recente passato rende indimenticabili le sofferenze altrui, il presente ci svela le nostre e comuni povertà relazionali, nella prospettiva di un futuro ancora incerto.

Ringraziare Dio e tutti è d’obbligo, nel senso di un imperativo insopprimibile che riconosce nella propria povertà il bisogno dell’uno e dell’Altro, in un legame non commerciale o di convenienza, ma oblativo, per il quale il paolino “tutto posso in Colui che mi dà la forza” di Filippesi 4 diventa testimonianza di una Eucaristia in atto, di una Eucaristia personale e sociale, particolare ed universale, da riconoscere e vivere, celebrata sull’altare della storia e delle relazioni.

Il tutto per un finale di serate che è stato sempre un evento catartico, emozionale, profondo, in talune circostanze prossimo alla ineffabilità, di cui Dante disse all’inizio del Paradiso “e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende”.

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