di Francesca Zani
Pensando alla giornata dedicate alle donne, al suo significato, ma soprattutto al perché ancora oggi dobbiamo sfatare molti luoghi comuni e faticare il doppio per imporci in un mondo che parla ancora al maschile, sono riandata molto lontano alla mia infanzia. Pur essendo trascorse decine di anni in cui la società è certamente cambiata, ancora penso che la disparità che già intuivo allora l’avverto ancora. La vita negli anni mi ha chiarito sempre di più che per noi rispetto, riconoscimento di capacità e meriti, devono essere una faticosa conquista quotidiana purtroppo preclusa ancora a molte donne.
L’ho potuto toccare con mano in molte occasioni sia come donna, che giornalista, mai però in modo così profondo e coinvolgente come davanti alla sofferenza inenarrabile delle donne di Casa Betel che mi hanno aperto con una dignità mai vista il loro cuore, in occasione della stesura del libro “Il giardino della Rinascita”, scritto a quattro mani con Silvia De Marinis (Edizioni Opera Diocesana San Francesco di Sales).
Improvvisamente mi sono sentita impotente davanti a tanta sofferenza, ma anche in colpa per la mia vita fortunata a prescindere dalla strada non sempre facile, perché attorno a me avevo la protezione di una rete famigliare e di amicizie che mi hanno amata, sostenuta e apprezzata. Ma loro e le molte donne come loro cosa hanno avuto?
Avrei voluto chiedere scusa, perché nel nostro mondo dove non mancano benessere, istruzione, lavoro, permettiamo che vi siano orchi che le hanno fatte diventare schiave, privandole non solo della loro libertà fisica, ma peggio ancora, di quella interiore e psicologica, approfittando di loro, annullandone la volontà di ribellarsi e schiacciandone la dignità, per quell’atavico desiderio di prevaricazione. Donne che hanno cercato solo amore e una vita migliore, trovando invece dolore e paura. Eppure, con una forza incredibile e l’amorevole supporto di che le aiuta, non hanno perso la speranza di rinascere rimettendosi in gioco.
Sarebbe bello non ci fosse una festa della donna, ma esclusivamente la festa dell’umanità tutta, solo allora potremo davvero dirci uguali.