di Stefano Savoldi
Con l’equinozio d’autunno, anche dal punto di vista astronomico volgiamo le spalle ad un’estate, questa del 2020, che rimarrà scolpita a lungo nei nostri ricordi, tra la voglia di tornare all’aperto dopo un soffocante lockdown e tuttavia il permanere di una paura ed incertezza verso ciò che incuria e mancanza di buon senso ci potrebbero ancora riservare per il futuro. Per tanti aspetti ci è sembrata un’estate in cui abbiamo fatto cose -o ci è sembrato di farle- per la prima volta.
Quest’estate è stata di sicuro la prima in cui il Rifugio Caritas di via Garzetta ha tenuto le porte aperte ai senza tetto, durante l’intera giornata, in quei mesi nei quali solitamente restava chiuso. Una scelta, quella che ha animato la Caritas diocesana, dettata dalla necessità di continuare a dare casa a chi una casa non ce l’ha, rendendo attuale il messaggio evangelico di tenere aperte le porte ed il cuore all’incontro -il nostro- con i più bisognosi.
La collaborazione tra l’Associazione Casa Betel 2000 e la cooperativa Kemay ha garantito la copertura del servizio diurno e notturno, potendo coltivare la quotidianità dell’incontro e dell’ascolto. Piccole cose, come la messa a disposizione di professionalità educative, sanitarie, psicologiche affinché il tempo trascorso insieme potesse ridare nuove prospettive alla vita di questi insoliti compagni di viaggio. Un’opportunità colta da alcuni ospiti, che nel corso dell’estate hanno visto realizzarsi il sogno di una possibilità lavorativa insperata, per qualcuno l’avvio di un percorso in piena autonomia, per un altro il percorso di housing.
Un’estate feconda: non la ricerca del meritato riposo allontanandosi da una quotidianità opprimente, bensì laboratori con puzzle, condivisioni di sprazzi di vita accompagnati da un buon caffè, una partita a briscola, la cura di un piccolo orto metafora della cura di sé.
Si, non la dimenticheremo quest’estate, così come le lettere scritte per ringraziarci di un incontro che ha cambiato più la nostra vita che la loro.