di don Maurizio Rinaldi
Nella circostanza dell’otto marzo ritorna la possibilità per considerare esistenzialmente nel frammento il tutto di una umanità femminile mortificata e sempre nella fase di rinascita e crescita nella propria dignità; è l’occasione per riporre a tema la coscienza di un imperativo pastorale dal quale è impossibile sottrarsi, anzi per il quale è doveroso prodigarsi. Se l’approccio alla questione femminile è complesso sia sul fronte sociale ed ecclesiale, più urgente è l’aspetto relativo alla violenza inflitta alle donne.
Nella considerazione delle storie tormentate di troppe donne mi sono chiesto spesso quali tappe segnino i passaggi non scontati di questa via dolorosa e di risurrezione. Chi chiederà scusa a queste donne, chi invocherà perdono per la violenza subita? Come avverrà il perdono e la pacificazione se questo non dovesse avvenire? Se è vero che solo personalmente qualcuno è reo del maltrattamento inflitto ad una donna, quali sono le responsabilità storiche, culturali, sociali, ecclesiali dirette ed indirette implicate in queste dolorose esistenze? Quali sono, non le nostre colpe, ma le nostre responsabilità in ordine ad un malessere che la vita di coppia spesso nasconde ed esorcizza in sopportazioni reciproche scomposte, al limite della sostenibilità e che, troppo spesso, si deteriorano in storie drammatiche e tragiche? Quale prezzo abbiamo stabilito per il valore di vite umane sul mercato degli sciacalli?
L’imbarazzo corre il rischio di prevalere nella impossibilità di ristabilire un punto di partenza autentico per ricominciare.
Ed è per tale motivo che in questa circostanza dell’otto marzo io vorrei chiedere scusa, implorare il perdono, a tutte le donne offese. Chiedere scusa mi pare un punto di partenza necessario per me, per noi, da membro di una umanità responsabile; desidero chiedere scusa da uomo che prova a capire, non a giustificare, le fragilità maschili e femminili degli uomini e delle donne del suo tempo; desidero chiedere scusa da credente per quella mancata evangelizzazione delle relazioni per la quale Gesù si è pienamente speso nella riaffermata dignità restituita alle donne del suo tempo; desidero chiedere scusa non come atto che pacifica il sottoscritto o questa umanità responsabile, non solo, ma soprattutto come atto ri-creativo di chi tenta di ri-conoscere sé stesso dalla parte di un debito incolmabile, sopportabile solo a fronte di un perdono che, per chi lo accoglie, ha la forza performativa di una parola vera, di un perdono che guarisce gli uni e gli altri, la parte offesa ed i violenti, le vittime ed i carnefici.